lunedì 5 marzo 2012

NEL NOME DEL PADRE

Quando una ricerca non porta il tuo nome, allora la sfrutti ma te ne freghi di come andrà a finire; non è un tuo problema, tu ci stai lavorando e in modo diverso da persona a persona, ci stai guadagnando. Ma come evolverà il tutto non ti riguarda. Così ragionano tutti, dico tutti, i signori vascolari che attualmente stanno operando, certamente facendo opera buona per i malati che vogliono operarsi ma disperdendo così un patrimonio di casistica che, anche se non con metodo scientifico di primaria qualità, potrebbe almeno aver sfatato la presunta pericolosità della procedura di liberazione. Sarebbe bastata la richiesta alle regioni di tenere dei registri regionali con semplici dati da raccogliere. Qualcuno, lo so, ci sta pensando e bene farà a farlo, ma la risposta qui non dovrebbe arrivare da ambienti privati che nessuna garanzia danno riguardo la veridicità dei dati ma bensì direttamente dalle sale operatorie a pubblici registri; freddi, imparziali. Fanno ancora in tempo a farlo se vogliono. Ma attenzione: non si dia certo la responsabilità della dispersione dei dati a Zamboni o a Salvi. Questo sarebbe altamente ingiusto e fuorviante. I suddetti medici hanno tutti i dati e le statistiche rilevate dal loro studio pilota ma certo non possono girare le sale operatorie d'Italia in cerca di dati; non è loro compito e non deve esserlo. E sappiamo direttamente dal Professore Ferrarese quanto egli abbia chiesto e richiesto a gran voce ai suoi colleghi di far questo. Ma non sono gli altri che portano la paternità di tal scoperta; non sono gli altri che, oltre ai guadagni personali, ne riceveranno la futura meritata gloria. Quindi non è un problema loro. Loro operano ed è nella natura di un chirurgo gettarsi nella mischia quando c’è da giocare; è un istinto positivo il loro. Ma non è ragionato per l’avvenire. Ecco perché rimane ancora una volta vitale l’inizio, il prosieguo e il termine di Brave Dreams e poi di altri studi paralleli che vadano dove la grande sperimentazione madre non arriva: chi c’è prima (sm agli esordi e non ancora clinicamente definita) e chi c’è dopo (sm avanzate con gravi disabilità). Ecco perché il bisogno di fondi c’è e permane e perché grave sconcerto ha dato quella infelice frase a cui non diamo più alcuna paternità qui per un generoso sentimento di oblio in cui s’era invocato quasi il fastidio di ricevere e il desiderio di non ricevere più fondi dai volontari. Non deve essere così. Anche perché non dobbiamo adesso abbassare la guardia e perché il finanziamento della regione Emilia Romagna non arriverà, credo, tutto in un colpo ma gradualmente secondo la scaletta della sperimentazione. Non vorremmo mai che lo scalpore di un Cosmo avverso facesse franare il convincimento di un finanziamento che è sempre, ricordiamolo, retto da soggetti politici che in quanto tali mai devono darci l’illusione della certezza e imperturbabilità delle loro decisioni. Quindi in guardia e continuiamo a raccogliere da chi vuole dare.
Quando la ricerca porta il tuo nome, allora rischi di esserne troppo orgoglioso e peccare di imparzialità, cosa pericolosa per un ricercatore. Paolo Zamboni lo è orgoglioso e, vivaddio, fa bene ad esserlo. Ma lo dissimula molto bene. Chiama “discussioni” i dialoghi che lui ha con i neurologi che noi spontaneamente chiameremmo litigi. Vuole fugare ogni dubbio scientifico sulla sua idea anche accettando metodiche come il doppio cieco che in chirurgia sono veramente ai limiti dell’assurdo e dell’eticamente scorretto. Ma chi si sottoporrà a Brave Dreams lo sa. Tutto questo fa parte del “pacchetto coraggio” proprio di questi straordinari malati tecnologici che sono tali perché in grandissima parte giovani: ed è questa la disgrazia dei detrattori, non aver previsto la velocita e la realtà della rete. Le informazioni viaggiano velocissime e hanno travolto tutto. Adesso l’esercito pacifico e silenzioso di Zamboni e Salvi è sulle rive del Rubicone. E li starà seguendo l’iter delle cose. Ma attenti: non si faranno sconti a nessuno. E allora alcuni si sottoporranno al “falso” intervento accontentando così coloro che credono al miracolo dell’effetto placebo che potrebbe, non si sa come, abbassare decisamente un grado di disabilità clinica accertata. Faremo questo e faremo altro perché quando un medico combatte contro l’altro, chi ci perde è solo il paziente; Zamboni e Salvi lo sanno e quindi non cercano lo scontro ma anzi cercano il coinvolgimento, cosa che è avvenuta durante l’ultimo volo di Zamboni in America: i neurologi di Chicago, inizialmente contrari, ora sono convinti di collaborare in senso costruttivo con i vascolari. Ecco, se uno riesce a convincere in alcuni giorni importanti e stimati professionisti vuol dire che ci crede e ci crede molto sulla bontà della sua idea, ma fa di tutto per verificarne l’esattezza anche a rischio di cancellare tutto. Questo è il senso di Brave Dreams. Ma la chiarezza di pensiero va a braccetto con la semplicità della spiegazione a tal punto che ascoltando ti rendi conto che è indubbio che le cose stiano così.
La notizia è che Brave Dreams inizierà tra sessanta giorni. Lo speriamo tutti. Ma ci sono anche altri percorsi di ricerca da sostenere. Sono focolai che illumineranno man mano la strada alla sperimentazione principale. Perché la scoperta della CCSVI sta emergendo sempre di più e sta allargando anche il suo campo di applicazione ad altre patologie e rendendo sempre più grande, per questo, la sua identità tanto svilita qui nel nostro paese. Ma la porta è stata aperta e non si può più tornare indietro, ne sono sicuro.
Cordiali saluti.
Paolo Destro

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